Le braci

Quando “trano li taramoti”

Imprevedibile, violento, capace di scuotere una delle nostre poche certezze assolute: che la terra resti sempre ferma sotto ai nostri piedi. Più degli uragani, dei cicloni e delle epidemie, sin dall’antichità è il terremoto il fenomeno naturale in grado di mettere a nudo la fragilità dell’essere umano e la sua illusione di un dominio totale sulla natura. E tuttavia, “per esorcizzare la paura del terremoto, fin dalle origini ci si è rivolti al cielo con preghiere e scongiuri e, purtroppo, meno si è riflettuto su quelle che invece potevano essere le più efficaci misure pratiche di tipo preventivo da prendere; convinti, il più delle volte, che le scosse sismiche fossero da attribuire non a una normale dinamica evolutiva della Terra, bensì a una ineluttabile volontà divina punitiva”.

Dall’antica Grecia ai giorni nostri, Pierangelo Pancaldi e Alberto Tampellini ci conducono attraverso una ricerca storica appassionante, un viaggio nello spazio e nel tempo per conoscere quali spiegazioni, tra religione, scienza e interpretazioni popolari, sono state date al terremoto, come si è tentato di prevederlo e quali ripercussioni, materiali ed emotive, hanno subito i sopravvissuti nella loro stravolta vita quotidiana. E per rispondere all’angoscioso interrogativo riguardo alla vocazione sismica del nostro territorio, un excursus sui più significativi eventi del genere che, nei secoli, hanno colpito l’Emilia-Romagna e il Bolognese in particolare.

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Arte e fede nella parrocchia di Scanello

La parrocchia di Scanello, sull’Appennino bolognese, si presenta oggi come un’unità territorialmente composta dall’aggregazione di tre antiche comunità facenti capo alle chiese di San Giovanni Battista di Scanello, S. Martino di Quinzano – entrambe nel Comune di Loiano – e S. Maria Assunta di Gragnano, nel Comune di Monghidoro.
Lontana dalla città di Bologna, ma strategicamente al centro dei fiorenti flussi di transito e di traffico commerciale tra l’Emilia e la Toscana, dal Medioevo all’età moderna questa parte del territorio montano fu teatro di un intenso sviluppo demografico ed economico a cui presero parte anche alcune importanti famiglie bolognesi. Ma furono soprattutto la fede, la laboriosità e l’intraprendenza dei parroci e dei suoi parrocchiani a portare alla costruzione delle tre chiese della parrocchia di Scanello che formano l’oggetto di questo studio di Giuseppe Marinelli, che, sulla base di riscontri documentari per lo più inediti, ne delinea il profilo storico, dalla fondazione fino ai giorni nostri, inquadra le principali vicende costruttive e analizza le opere d’arte presenti in esse.
Un libro per conoscere, anche grazie all’ampio apparato fotografico, altri tesori dell’Italia ingiustamente definita “minore” e un eccezionale esempio di amore di una comunità per il suo territorio. Una mappa ideale, dedicata a quanti proveranno la curiosità di fare visita a questi luoghi e agli abitanti di Scanello, perché, come scrive don Angelo Baldassarri nella sua Prefazione, “siamo entrati tante volte nelle nostre chiese, ma non ci siamo mai resi conto di quanta storia portassero dentro di sé”.

Contiene 36 Tavole a colori

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I 34 scheletri del Poggio

SECONDA EDIZIONE

La differenza fra una fossa comune e un cimitero è simile a quella che c’è fra una discarica e un archivio.

Qui è ricostruita la storia dei “34 scheletri” del Poggio, sepolti in un antico cimitero di cui non si aveva notizia, riaffiorati casualmente in seguito a un’aratura profonda e recuperati nel corso del mese di ottobre del 1962. Il cimitero, formato da due file parallele di sepolture orientate a est e disposte ordinatamente, fu definito in modo sbrigativo “fossa comune”. Niente autorizzava a pensare che quei resti appartenessero alle vittime di qualche strage avvenuta nel dopoguerra e che ci si trovasse di fronte a un fatto criminoso, ma la “notizia” di una strage mai avvenuta, costruita dal parroco e dall’Avvenire d’Italia, esistette e diventò Storia.
Di chi erano i resti di quelle “povere vittime” di cui don Guido Franzoni si appropriò con tanta passione? Erano uomini, donne e bambini vissuti più di mille anni fa, che i partigiani, dopo averli barbaramente trucidati, avevano occultato, contravvenendo all’articolo 340 del Testo Unico di Legge di Pubblica Sicurezza del 1934. E perché i partigiani avevano seppellito anche una testa di cavallo?

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La contrada Mirasole

La contrada Mirasole” è l’autobiografia dell’architetto Vittorio Maccaferri, persicetano doc, come ama definirsi, e custode prezioso delle memorie del nostro territorio. Il racconto di vita diventa l’occasione per ricostruire la storia di San Giovanni in Persiceto dal 1937 a oggi e in particolare la storia della contrada Mirasole, ossia il quartiere situato tra via Mazzini, via Roma, via Matteotti e viale Puppini. Un’infanzia trascorsa in ristrettezze economiche e ambientali, comuni peraltro alla maggior parte dei coetanei e forse anche per questo, oltre che per il carattere giocoso del narratore, accettata e ricordata con serena nostalgia. Rallegrano la narrazione, il vissuto e le azioni di una folla eterogenea di personaggi, elencati e descritti con tratti semplici e definitivi: i familiari (otto tra fratelli e sorelle), i clienti dell’osteria retta dall’energica mamma, gli amici d’infanzia, i colleghi di studio e di lavoro, i vicini di rione. E poi concittadini, insegnanti, muratori, contadini, poliziotti e sindacalisti, soldati tedeschi e americani. L’Italia esce dalla guerra prostrata, ma ferve per ricostruirsi in fretta. Anche il paese cresce, insieme all’autore, e diventa cittadina: dolori, lutti, incertezze, difficoltà ma tanta voglia di riuscire. 

Un’opera attraverso cui riscoprire giochi, attività, occupazioni e mestieri oggi scomparsi o trasformatisi nella loro specificità. Documenti e fotografie d’epoca, selezionati con cura dall’autore, corredano e arricchiscono il tutto. Sarà infine fonte di curiosità (ma anche una necessità) la consultazione delle note a piè di pagina in cui vengono riportate le traduzioni dei sapidi termini dialettali che nel corso del racconto indicano gli oggetti, le azioni quotidiane e quelle lavorative. Cose, costumi e mestieri spesso caduti nell’oblio, come purtroppo sta accadendo per l’intero patrimonio sotteso alla lingua che fu dei nostri padri.

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Persicetani uniti

Constatando la notevole partecipazione e l’orgoglio con cui i francesi celebrano ogni anno il 14 luglio, o l’enfasi con la quale gli americani festeggiano il 4 luglio, ci si rattristerebbe notevolmente se gli italiani non facessero altrettanto in occasione delle ricorrenze storiche della nostra Patria. Tra queste il Risorgimento, che come scrisse Benedetto Croce “…fu il capolavoro dello spirito liberale europeo”. Anche tale periodo, infatti, dovrebbe renderci orgogliosi e non permetterci di dimenticare tutti coloro che si sono immolati coraggiosamente.

In occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia sono stati raccontati i principali avvenimenti storici, che hanno coinvolto il territorio europeo ed in particolare quello persicetano. Dal Congresso di Vienna ed il relativo periodo della Restaurazione si è giunti alla presa di Porta Pia, attraverso i moti e le guerre d’indipendenza; assistendo alle alleanze dello Stato Pontificio per ottenere l’egemonia sulla Penisola ed all’impegno di numerosi giovani volontari, tra cui i garibaldini, che si sono distinti nell’eroica spedizione dei Mille.

In questo cammino verso l’unità territoriale è stata presa in considerazione anche la nascita del Tricolore e dell’Arma dei Carabinieri, nonché l’evoluzione delle Guardie cittadine e della Società dei Reduci garibaldini, mettendo in rilievo il contributo offerto dai persicetani per la causa nazionale.

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