Salariate dell'amore

Il Resto del Carlino – Bologna

Persiceto, Sara Accorsi la bibliotecaria che fa la scrittrice

di Alessandro Belardetti

La sua vocazione la porta sempre e comunque in contatto con i libri. Sara Accorsi, nata a San Giovanni in Persiceto nel 1980 e laureata in Discipline dell’arte, di professione fa la bibliotecaria e come hobby la scrittrice. Dal 2007 ad oggi sono sei i manoscritti realizzati, con l’ultimo in ordine di tempo (Parabole di cartapesta, fatto a quattro mani con Paolo Balbarini) che spunterà in libreria in questo mese. I temi trattati spaziano in direzioni piuttosto diverse, ma tutte le opere seguono due fili rossi: la ricerca storica e l’ambientazione nel territorio bolognese-ferrarese. Come accade nel penultimo prodotto editoriale, concepito assieme ad Anna Natali, Salariate dell’amore. Storie e faccende di meretrici nell’Ottocento bolognese, in cui viene approfondito un argomento antico quanto attuale, quello della prostituzione nelle campagne emiliane, tra Persicetano e Bolognese, nella seconda metà dell’Ottocento.

Come è nata l’idea per questo libro?
«E’ stata Anna a contattarmi, colei che ha fatto la ricerca trovando le notizie in archivio. Io ho accettato la proposta, leggendomi tutti i documenti ufficiali. Da queste carte sono nate storie di varie prostitute, con monologhi basati su fatti reali, io ho aggiunto dal mio punto di vista il loro modo di pensare. Dal libro emerge il problema della clandestinità nella prostituzione, di coloro che la esercitavano senza essere regolarmente iscritte in Comune. Il dibattito si staglia sulla legalizzazione o meno di questa attività».

E lei che idea ha in proposito?
«La situazione di oggi non chiarisce nulla, c’è un vuoto enorme. Tanti controlli, tante parole gridate, ma poi nessuno sa nulla. Il problema di base è lo sfruttamento delle donne. Le case chiuse, se ci fosse una regolamentazione e le prostitute ottenessero dei diritti come persone, sarebbero una soluzione plausibile. Penso comunque che ci vorrebbe una società più matura per certe forme di liberalizzazione, bisognerebbe essere più consapevoli del problema».

Il prossimo libro di cosa parla?
«Parabole di cartapesta ha come soggetto il carnevale di Persiceto. E’ stata un’avventura bellissima, affrontata assieme a Paolo Balbarini, con cui da maggio a dicembre 2010 ho fatto due o tre interviste a settimana. Inizialmente non ero una grande appassionata della storia carnevalesca, nel tempo poi ho conosciuto persone innamorate di questo evento, che si ricordano la classifica finale di ogni edizione. Ho scoperto che l’Istituto Luce girò due film sul carnevale di Persiceto e il sindaco negli anni Trenta scrisse alle Fs perché aumentassero le carrozze in quel periodo. È sicuramente la manifestazione più importante del paese».

Il suo impegno in Comune come prosegue?
«E’ quasi giunto al termine, dato che l’Istituzione culturale ‘Zavattini’ in questo mese verrà chiusa. Il sindaco Mazzuca l’ha decretata un’esperienza che ha perso la giusta rotta. La causa principale è la riduzione dei fondi. Ora l’assessore alla cultura non c’è a Persiceto e il sindaco accoglie in delega questo settore».

Salariate dell'amore

Borgo Rotondo

Un libro di storia (e di storie) sulla prostituzione nell’ottocento

di Eleonora Grandi

Peccatrici sventurate, infelici scostumate, sciagurate. Clandestine, sospette, patentate. Meretrici incallite, puttane, addirittura puttanissime, come si legge su una carta d’archivio risalente al 1868, redatta da un solerte impiegato il cui compito era quello di registrare il numero delle prostitute presenti quell’anno a San Giovanni in Persiceto. Per il parroco erano emissari del demonio, per il generale seduttrici ammorbanti ma anche necessario passatempo per i soldati di stanza a Persiceto dopo la rivolta per la tassa sul macinato, per gli osti che avevano “la stanza per quelle donnette” una fonte di sicuro guadagno. Alla fine l’appellativo più gentile viene rivolto a queste donne nel titolo del volume: salariate dell’amore.

Salariate dell’amore. Storie e faccende di meretrici nell’Ottocento bolognese (Maglio Editore) è l’ultimo libro di Sara Accorsi e Anna Natali. Frutto di una paziente ricerca d’archivio su materiali risalenti alla seconda metà dell’Ottocento (1859-1893), rinvenuti da Anna Natali nell’Archivio storico di San Giovanni in Persiceto e nell’Archivio di Stato di Bologna, il libro indaga gli effetti dell’applicazione del «Regolamento sulla prostituzione» in territorio emiliano attraverso le storie di vita di donne e uomini che a vario titolo erano coinvolti in quell’affare. Dopo l’unificazione d’Italia una delle prime azioni di Cavour fu l’introduzione del Regolamento (esteso a Emilia, Piemonte, Liguria e Lombardia), per contenere la propagazione delle malattie veneree assai diffuse tra le truppe impegnate sui campi di battaglia e di cui le meretrici erano considerate le uniche responsabili. Pericolo per la morale, la salute e l’ordine pubblico, queste donne erano soggette a controlli coercitivi di tipo medico e poliziesco. Coloro che volevano esercitare legalmente “il mestiere” dovevano essere iscritte a un registro, che permetteva alla polizia e ai medici di effettuare incursioni nei postriboli, di sottoporre le donne a visite ginecologiche settimanali, e di trasferire nei sifilocomi le prostitute trovate infette.

Con l’articolo 10 del Regolamento i Direttori degli Uffici Sanitari furono obbligati a presentare una relazione annuale al ministero dettagliando i loro interventi: la prostituzione da “chiacchiera” divenne un sapere concreto di carattere politico-amministrativo, e si produsse quel carteggio nutrito (corrispondenze, moduli, ricevute, trascrizioni di verbali e di delibere, lettere di reclamo o di petizione, verbali di arresto o di traduzione in carcere, certificati medici e bolle di accettazione in ospedale, fogli statistici e comunicazioni anche personali di protesta, di dissenso di giustificazione), che sta alla base si questa ricerca. Nacque così la “pornografia” intesa come “scritto relativo alla prostituzione”, che passando di mano in mano ad agenti e ufficiali esponeva le donne e la loro intimità a letture sfacciate. Donne il cui comportamento non si adeguava al modello femminile tradizionale (straniere, disoccupate, donne povere, senza fissa dimora o trovate in luoghi sconvenienti) venivano arrestate con l’accusa di prostituzione clandestina anche in mancanza di prove. Il contatto con l’autorità era violento e discriminate, la visita ginecologica fatta senza il rispetto di misure igieniche minime, e il sifilocomio era organizzato come una prigione. Si agiva sulla donna ignorando completamente il cliente (“come se il contagio avvenisse all’insaputa dei soggetti coinvolti”, si lascia sfuggire il medico), mai oggetto di alcuna ispezione, mai ritenuto corresponsabile della trasmissione.

Scritto a quattro mani, Salariate dell’amore è diviso in due parti. La prima parte narrativa, di Sara Accorsi, dà vita con brio a undici personaggi realmente esistiti nella Persiceto dell’epoca. Reali sono le vicende raccontate, immaginato è il punto di vista di chi per varie ragioni era legato alle faccende del meretricio. Come la Luzi, prostituta dai tanti nomi e scandali, il dottore delle visite settimanali, Ugolini, il generale delle truppe alle prese con l’emergenza del contagio per i suoi soldati, la mammana impegnata a gestire gravidanze e a trovare collocazione ai nascituri. Nella seconda parte Anna Natali, dopo rapidi cenni alla storia della prostituzione che offrono al lettore una preziosa cornice di riferimento, si addentra nella disamina specifica della storia della prostituzione nell’Ottocento e nella provincia bolognese.

Conseguenza della miseria e dell’ignoranza e non frutto di una libera scelta (“con la tavola piena si fa presto a sparar giudizi!”, dice la vicina di casa), tramandata di madre in figlia e spesso di suocera in nuora, la prostituzione nell’Ottocento bolognese era un fenomeno drammatico e contraddittorio, perché contemporaneamente accettato e osteggiato dalle istituzioni pubbliche. Salariate dell’amore è un libro che svela una pagina segreta del nostro passato a un presente che, con le sue escort, le sue questure e i suoi festini, in storia continua a essere rimandato. Purtroppo.

Salariate dell'amore

Il Resto del Carlino – Bologna spettacoli

Una ricerca sulla prostituzione nelle campagne bolognesi

di Pierfrancesco Pacoda

Erano personaggi pubblici, costrette ai margini della società, ma ritenute necessarie nell’organizzazione della vita quotidiana. Le voci delle prostitute che nell’800 lavoravano nella campagna tra Bologna e San Giovanni in Persiceto sono state raccolte da Anna Natali e Sara Accorsi nel libro Salariate dell’Amore. Storie e faccende di meretrici nell’Ottocento bolognese (Maglio Editore). [...]

Il volume è diviso in due parti. Nella prima Sara Accorsi ‘fa parlare’ queste donne, proponendo una successione di bozzetti dove le ragazze si raccontano in prima persona utilizzando, con la parola, la tecnica del ‘docu-fiction’ oggi così di moda nel cinema. La lunga appendice di Anna Natali è invece un approfondimento storico sul ‘mestiere’ e sulla sua diffusione in città e provincia, frutto di una ricerca negli archivi per indagare sui rapporti delle questure e degli ospedali.

Signora Accorsi, come si è sviluppato il suo lavoro?«Sono partita dalla grande mole di materiale raccolto da Anna Natali e lo ho rielaborato, romanzandolo, ma basandomi sempre su notizie reali. Veri sono i nomi delle prostitute, i loro percorsi umani. Sono monologhi che danno voce alle varie tipologie che si incontravano nella piazza in quell’epoca. Dal medico all’infermiera, dalla vicina di casa alla moglie del segretario comunale: tutti quelli che con le ragazze avevano occasione di contatto. In un arco di tempo che va dall’Unità d’Italia sino alla fine dell’800, il periodo nel quale viene definita una prima normativa per regolamentare il fenomeno».

Quale l’area geografica presa in considerazione? «Quella che da San Giovanni in Persiceto porta a Bologna. Le prostitute, anche in un’area così ristretta, erano soggette a continue migrazioni. E se erano malate si recavano, da tutta la provincia, al nosocomio di Bologna. La loro non era certo una esistenza stabile».

Quali le scoperte più interessanti? «I problemi erano, allora come adesso, legati alla clandestinità e quello della regolamentazione. In molti paesi della provincia non esistevano case d’appuntamento e le ragazze esercitavano nelle loro abitazioni, previa registrazione in Comune, e rilascio di una ‘patente’, che significava dover versare i contributi e sottoporsi alle visite mediche due volte a settimana. Il vero allarme sociale era costituito dalla presenza delle lavoratrici clandestine, che sfuggivano ai controlli. Ed erano le responsabili principali, ad esempio, della diffusione delle malattie veneree tra le truppe. Come oggi, la questione morale, era rappresentata dalle ragazze e non dai clienti, dei quali non c’è alcuna traccia nei pur ingenti documenti che abbiamo studiato E infatti della tipologia maschile che si recava da loro, a parte la grande presenza dei soldati, non sappiamo ancora nulla».

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