Salariate dell'amore

Il Resto del Carlino – Bologna spettacoli

Una ricerca sulla prostituzione nelle campagne bolognesi

di Pierfrancesco Pacoda

Erano personaggi pubblici, costrette ai margini della società, ma ritenute necessarie nell’organizzazione della vita quotidiana. Le voci delle prostitute che nell’800 lavoravano nella campagna tra Bologna e San Giovanni in Persiceto sono state raccolte da Anna Natali e Sara Accorsi nel libro Salariate dell’Amore. Storie e faccende di meretrici nell’Ottocento bolognese (Maglio Editore). [...]

Il volume è diviso in due parti. Nella prima Sara Accorsi ‘fa parlare’ queste donne, proponendo una successione di bozzetti dove le ragazze si raccontano in prima persona utilizzando, con la parola, la tecnica del ‘docu-fiction’ oggi così di moda nel cinema. La lunga appendice di Anna Natali è invece un approfondimento storico sul ‘mestiere’ e sulla sua diffusione in città e provincia, frutto di una ricerca negli archivi per indagare sui rapporti delle questure e degli ospedali.

Signora Accorsi, come si è sviluppato il suo lavoro?«Sono partita dalla grande mole di materiale raccolto da Anna Natali e lo ho rielaborato, romanzandolo, ma basandomi sempre su notizie reali. Veri sono i nomi delle prostitute, i loro percorsi umani. Sono monologhi che danno voce alle varie tipologie che si incontravano nella piazza in quell’epoca. Dal medico all’infermiera, dalla vicina di casa alla moglie del segretario comunale: tutti quelli che con le ragazze avevano occasione di contatto. In un arco di tempo che va dall’Unità d’Italia sino alla fine dell’800, il periodo nel quale viene definita una prima normativa per regolamentare il fenomeno».

Quale l’area geografica presa in considerazione? «Quella che da San Giovanni in Persiceto porta a Bologna. Le prostitute, anche in un’area così ristretta, erano soggette a continue migrazioni. E se erano malate si recavano, da tutta la provincia, al nosocomio di Bologna. La loro non era certo una esistenza stabile».

Quali le scoperte più interessanti? «I problemi erano, allora come adesso, legati alla clandestinità e quello della regolamentazione. In molti paesi della provincia non esistevano case d’appuntamento e le ragazze esercitavano nelle loro abitazioni, previa registrazione in Comune, e rilascio di una ‘patente’, che significava dover versare i contributi e sottoporsi alle visite mediche due volte a settimana. Il vero allarme sociale era costituito dalla presenza delle lavoratrici clandestine, che sfuggivano ai controlli. Ed erano le responsabili principali, ad esempio, della diffusione delle malattie veneree tra le truppe. Come oggi, la questione morale, era rappresentata dalle ragazze e non dai clienti, dei quali non c’è alcuna traccia nei pur ingenti documenti che abbiamo studiato E infatti della tipologia maschile che si recava da loro, a parte la grande presenza dei soldati, non sappiamo ancora nulla».

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